17/02/14

Stage, stay hungry stay foolish

Avrei dovuto capirlo già da allora. Da quell'infimo stage al termine dell'università, sì, avrei dovuto capire già da allora che fine avrei fatto. Invece no, imperterrita mi sono anche impegnata per averlo, in una piccola casa editrice pisana che pubblicava di tutto un po', dai libri per bambini e ragazzi alla narrativa alla saggistica ai testi dedicati alla storia e alle tradizioni della città. Bello, direte voi. Bello, dico io, peccato che di tutto ciò non abbia visto assolutamente nulla.


Ma si sa, non è che puoi pretendere chissà cosa quando timidamente cominci ad affacciarti al mondo del lavoro, tipo imparare... Anche se, in effetti, mentirei se dicessi che non ho imparato nulla: attaccare i manifesti delle varie iniziative per i bambini in giro per gli asili e le scuole di mezza campagna toscana non è mica così semplice. Andatelo a spiegare voi ai bidelli che non vogliono aprirvi e vi puntano incazzosi che non siete testimoni di geova e non volete deviare alcuna giovine mente.

Eravamo io e un'altra mia compagna di studi (due furbone, insomma) a bordo della sua panda (e meno male che ce l'aveva, perché in bicicletta l'avrei vista dura, o forse a quest'ora avrei potuto vincere qualche Giro d'Italia, sai mai...), armate persino di scotch gentilmente offerto da una di noi due. Tutto sommato anche divertente, se non altro perché era la nostra prima esperienza di "lavoro" e ci sentivamo adulte.... ehm...

Nel frattempo la tesi, il più bel periodo della mia vita: non dovevo pensare ad altro che a scrivere e nessuno avrebbe potuto dirmi nulla. Eh sì, perché la mia tesi, giusto per la cronaca, era una sceneggiatura. Da quasi-semi-laureanda in Cinema, credevo che lo stage in una casa editrice sarebbe stato un ottimo modo per saggiare quell'evanescente mestiere ed evitare così la fame aspettando di scrivere sceneggiature per una produzione che ai tempi sfornava Moccia a iosa e vari Manuali (d'amore, di cozze, di battaglie navali tra maschi contro femmine, femmine contro maschi e cani senza coda contro gatti castrati...). Beata ingenuità.

Suppongo che la stessa idea l'abbia avuta la mia compagna di corso. Un'idea geniale, non c'è che dire. Entrambe ubriache di libri, affascinate da quello strano mondo che, diciamocelo, nessuno da fuori conosce... e che in effetti non abbiamo conosciuto. Chi sa cosa c'è dietro una casa editrice? Che misterioso lavoro fa un editor, o un correttore bozze? Ti immagini cultura che sprizza da tutti i pori, passione, e qualche Calvino in giro per i corridoi... ma poi, a pensarci bene, basta guardare cosa passa in libreria per capire che no, non è proprio esattamente così.

Adesso quel mondo lo conosco da dentro (beh, più o meno, diciamo che ci entro quando devo consegnare o ritirare qualcosa). E forse un pochino rimpiango le aspettative che avevo ai tempi di quel primo stage, il sentirmi "adulta" perché comunque era pur sempre una prova di lavoro. Ok, vendere libri alle presentazioni e alle fiere non era quel che si dice un grande impegno intellettuale, ma almeno, al contrario degli stage successivi (perché è bene ricordare che prima di essere considerati idonei allo stipendio in Italia devi passare attraverso un non ben definito numero di stage, q.b.), al termine della giornata mi davano da portare a casa il mega galattico (ab)buffet avanzato dalla presentazione. In fondo, come esortava mr iPhone, ero sì proprio affamata. E più che folle, anche un po' incazzata.






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